Così vanno le cose… così devono andare?
Palestina, campagne russe, Vietnam capitalista, anarchia, storie private e tradizioni nazionali… il “richiamo” di Fotografia Europea intercetta storie, mutazioni, tendenze.
Ogni anno Fotografia Europea invita artisti e curatori di tutta Europa a misurarsi con il tema della manifestazione. Una squadra di selezionatori sceglie i progetti più significativi che entrano nel circuito ufficiale dell’evento, negli spazi della Galleria Parmeggiani e di via Secchi. Un’occasione per scoprire tematiche e approcci inediti alle “cose fotografiche” e alle “cose” in generale. Merito di una selezione che coglie proposte sempre rinnovate e, soprattutto, propone talenti. Così autori e progetti distanti finiscono per incontrarsi in un ricco “dialogo” con i visitatori.



Come in un piano cartesiano si incrociano quest’anno due direzioni: spazio e tempo, sincronia e successione. Memories in Super8 di Francesca Catellani (1971), ospitato alla Galleria Parmeggiani, attraversa due decenni centrali della storia recente: 70 e 80. Lo fa a partire da vecchie pellicole scovate in mezza Europa e poi rivisitate: dall’epopea quotidiana matura la cifra del cambiamento epocale.
Tra i fotografi protagonisti di via Secchi Nicolò Panzeri (1991) compie con Feed Us un viaggio nell’industria alimentare italiana, patrimonio “genetico” della nazione e, allo stesso tempo, luogo di controversa modernizzazione. Simone Sapienza (1990), invece, in Charlie surfs on Lotus Flowers descrive il Vietnam di oggi, terra di contraddizioni scintillanti: turbo-capitalismo, leadership del partito comunista e una lunga storia (forse non conclusa…) di sudditanza culturale.
La Russia post-sovietica viene colta da Danila Tkachenko (1989) nella sua mostra Motherland attraverso la condizione delle sterminate campagne, storico baricentro del Paese, oggi spettrali e abbandonate.
Rawabi, la prima città fondata dai e per i Palestinesi, è al centro del progetto Birth of a Utopia del duo italo- francese Andrea e Magda tra coabitazione con lo Stato israeliano, oblio della tradizione e l’ombra lunga del neoliberismo.
Una visione del del mondo attivamente contestata dal misterioso militante anarchico che si muove per il continente come lo spettro evocato da Marx e lascia tracce fantasmatiche colte dall’obiettivo di Umberto Coa (1989) in Non dite che siamo pochi.
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