Eleonora Agostini. A Study on Waitressing
A Study on Waitressing esamina i fenomeni di autorappresentazione, interrogando l’immagine romanzata della cameriera attraverso lo studio del palcoscenico, del backstage e del performativo.
Il rapporto tra immagine e performatività viene indagato attraverso l’immagine di mia madre, le sue posture, movimenti e comportamenti durante il suo lavoro di cameriera. La sua figura è utilizzata come veicolo per affrontare le preoccupazioni sul visibile e sul nascosto in relazione ai comportamenti privati e pubblici, con un’attenzione particolare ai ruoli sociali che svolgiamo nella nostra quotidianità quando interagiamo con il nostro pubblico.
Il lavoro è profondamente radicato negli interessi psicologici e sociologici dell’opera di Erving Goffman e dei suoi scritti sulla teatralità del quotidiano e sulla funzione del corpo nell’interpretazione dei ruoli sociali.
Il ristorante diventa lo spazio in cui il corpo funge da connettore tra l’osservatore e l’osservato.
A Study on Waitressing si presenta come una raccolta di fotografie, collage, testi, immagini d’archivio e video che esplorano i diversi strati e significati dell’esistere all’interno di una situazione sociale, e interpretano un personaggio che si muove tra individualità e strutture sociali ed esiste tra il reale e la messa in scena.
Andrea Camiolo. The Manhattan Project
“The Manhattan Project raccoglie fotografie di vari esperimenti legati all’uso dell’esplosivo nucleare effettuati negli anni ‘40. I negativi sono stati ritrovati in una base militare U.S.A. abbandonata in Sicilia. A causa del tempo le immagini hanno subito un notevole deterioramento che produce una sovrabbondanza di grana e una minor nitidezza.”
Questo potrebbe essere un perfetto incipit per ingannare lo spettatore, una storia che dia senso a fotografie che un senso non hanno. In realtà queste non sono neanche fotografie, sono immagini foto-realistiche prodotte da un’intelligenza artificiale. Partendo dalle scansioni delle fotografie contenute nel libro Evidence (1977) di Larry Sultan e Mike Mandel una I.A. ha generato delle nuove immagini che ho successivamente postprodotto per realizzare una serie composta da finti reperti d’archivio.
A chi appartengono queste immagini? Ai fotografi che hanno materialmente scattato le fotografie negli anni ‘40? A Sultan e Mandel che le hanno selezionate tra migliaia scavando a fondo in archivi federali statunitensi negli anni ‘70? A coloro che hanno scattato le 12 miliardi di fotografie attraverso le quali questa I.A. ha imparato a generare immagini? A me che ho cliccato il pulsante “genera” con il mouse di un computer?
In un cortocircuito d’appartenenza queste immagini pongono tante domande senza dare risposte. La visione di un’esplosione e di immagini correlate ad essa è ciò che rimane. Immagini non reali che parlano di realtà e del presente, finti reperti d’archivio che si collegano perfettamente ai giorni nostri, giorni in cui si è tornato a parlare di guerra mondiale e test nucleari.
Sofiya Chotyrbok. Home Before Dark
Home Before Dark nasce da un episodio biografico dell’artista legato alla rinuncia della cittadinanza di nascita, ucraina, per l’acquisto di un’altra, italiana, d’adozione.
Questo avvenimento ha dato origine ad una ricerca stratificata incentrata sulla definizione individuale e collettiva del sé, nel momento in cui i suoi fondamenti geografici e temporali si fanno più incerti. A partire da febbraio 2020 una serie di viaggi in Ucraina hanno costellato un processo creativo di riscoperta identitaria e di appartenenza al contesto post-sovietico, i cui confini e definizioni sono oggi più che mai labili e complessi. Il punto di partenza del processo artistico è un archivio, luogo della memoria per definizione, qui materializzato in una chruščëvka (appartamento sovietico) e negli oggetti e immagini in essa contenuti, cimeli simbolici noti e al tempo stesso stranianti. È nelle trame familiari dei tappeti, nelle foto di famiglia, tra le tazze da té o nelle pagine di elenchi telefonici in disuso che la ricerca si articola rendendo visibili, senza colmarle, le lacune della memoria tramite una serie di mimetismi, cancellazioni e occultamenti. Le immagini, i cui linguaggi coniugano autoritratto, staged photography, collage e ricerca d’archivio, scavano al di sotto delle egemonie simboliche che danno forma alle identità collettive e dischiudono, senza fornire una soluzione definitiva, le nostalgie di un passato smarrito tra le pieghe di un segreto.
(Testo di Rosa Cinelli)
Davide Degano. Romanzo Meticcio
Romanzo Meticcio indaga la condizione post-coloniale in Italia quale elemento fondante della vita e del tessuto sociale del Bel Paese.
Nella mia ricerca il prefisso ‘post’ assume un valore di continuità sia temporale sia spaziale. Crea una connessione esistente tra il presente, il passato coloniale e le grandi ondate migratorie intranazionali e internazionali ed invita ad un atteggiamento critico rispetto al retaggio del passato e a un analisi attenta degli effetti sulla società odierna. La costruzione della Nazione moderna si è fortemente basata sull’identificazione di luoghi e persone considerate ‘marginali’, come le periferie, il meridione, le minoranze, gli italiani di seconda generazione e la questione dell’ideologia fascista che non si è mai assopita e non è mai stata affrontata e risolta in un dibattito pubblico aperto. Appunto anch’essa messa ai margini. Il medium fotografico negli anni ’30 è stato uno strumento fondamentale per legittimare le nuove politiche coloniali fasciste. Le fotografie sono state fondamentali anche per rappresentare i ‘margini’, diventando dei veri e propri atti performativi di esclusione. La cultura italiana dal secondo dopoguerra è stata pervasa dal processo di rimozione della storia coloniale, Romanzo Meticcio vuole riportare alla luce tale passato contribuendo a creare nuovi immaginari e scenari sociali e culturali, incoraggiando la società a mettere in discussione il concetto stesso di identità italiana, rovesciando la marginalità, ponendo al centro ciò che normalmente è escluso, in modi che vanno oltre il rifiuto e la vittimizzazione.
Carlo Lombardi. La Carne dell’Orso 2019-2022
“Era questa, la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino.” (Primo Levi, Il sistema periodico, Ferro)
Il progetto propone un punto di vista sulla fragile relazione tra uomo e natura attraverso un’indagine sull’evoluzione etica, simbolica e antropologica delle pratiche di conservazione adottate nel corso del tempo per proteggere gli orsi Appenninici. Accostando fotografie contemporanee a immagini storiche dall’archivio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise presentate come “prove” per un contesto fattuale, il lavoro richiama l’attenzione sull’approccio antropocentrico che si nasconde dietro la presunta oggettività dei metodi di conservazione – l’identificazione estetica e simbolica con gli animali e la proiezione dei nostri desideri sulla natura. È una riflessione sul ruolo dell’umanità nei tentativi di conservazione, e sui fattori soggettivi che guidano le nostre scelte per proteggere la natura e che di conseguenza la definiscono.
Giulia Mangione. The Fall
“Sono seduta sul sedile del passeggero di un pick-up. Tra me e l’uomo alla guida è appoggiata la lunga canna di un fucile. Intorno a noi l’erba è diventata gialla per il caldo secco. Sparsi nei campi, i bunker sporgono dal terreno, le ampie pance sottoterra. Io sono viva e voi siete morti, penso mentre passo davanti alla più grande comunità di sopravvissuti del mondo.
Il luogo è infestato da serpenti a sonagli. Benché il perimetro sia delimitato, alcuni proprietari dei bunker hanno scelto di recintare la loro proprietà con del filo spinato. Nonostante i serpenti e l’isolamento, le persone affermano di sentirsi al sicuro qui, più al sicuro di quanto si sentissero nelle loro case in Minnesota, California o Arizona.”
(Appunti di viaggio. 4 settembre 2022. Edgemont, South Dakota)
The Fall (La Caduta) presenta una serie di fotografie che guardano ai miti popolari attorno al tema dell’Apocalisse e le teorie del complotto ad essa associate. Il progetto intende anche osservare come l’appartenenza a una comunità o a un culto religioso possa far sentire le persone più sicure e protette da ciò che temono possa accadere. Da La Palma nelle Isole Canarie, agli Stati Uniti e all’isola greca di Patmos, dove è stato scritto il Libro dell’Apocalisse, indago come la società si prepara ad affrontare eventi potenzialmente catastrofici.
Incontri casuali con strani uomini alla ricerca dell’anello nuziale perduto dalla loro madre in mezzo a un deserto, sopravvissuti, preppers, culti religiosi e persone che abitano nei bunker. Ogni visita è documentata da una serie di ritratti fotografici accompagnati da un racconto costruito con interviste, registrazioni sul campo, appunti di viaggio.
Attingendo dal road trip fotografico, guido attraverso gli stati del vecchio Far West, fra timore e meraviglia, lungo la strada dell’apocalisse. The Fall prende spunto dal mio background in fotogiornalismo e belle arti, combina fotografia documentaria e finzione per riflettere sulle paure collettive della società.
Eleonora Paciullo. Teofanie
La contrada è una piccola località rurale della Locride, un tempo terra ai margini della società dove proliferavano riti e cerimonie che le conferivano un’aura di magia. A distanza di quasi dieci anni, cercando di rimarginare la ferita della scomparsa dei miei nonni, sono tornata nella contrada per riappropriarmi dei suoi riti e delle sue storie, nel tentativo di dare vita al “re-incanto” del luogo magico della mia infanzia.
Il progetto ha quindi inizio da un’esigenza di riscoperta e riconoscimento di quel luogo dove si celebravano Persefone e la poetessa Nosside.
L’area locrese è un luogo in cui si sono da sempre susseguiti riti religiosi e pagani, storie vere e miti. In questo contesto ho deciso di utilizzare oltre alla fotografia anche la video-performance, in cui re-insceno alcuni riti e storie del luogo.
La contrada è quindi sia il luogo delle manifestazioni del sacro per i greci, sia il luogo magico della mia infanzia. Da qui il titolo Teofanie.