Storie da copertina #2: da W. Eugene Smith a Mick Rock

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Dieci dischi per altrettanti grandi fotografi. Continua il nostro viaggio tra le copertine che hanno una storia da raccontare

 

Robert Frank, William Klein, Mick Rock, Weegee, Pierre et Gilles, W. Eugene Smith, Cesare Monti, Jean-Paul Goude, Masayoshi Sukita, Lee Friedlander. Prosegue il nostro viaggio intorno alla cover photography, con altre dieci opere realizzate da grandi nomi della fotografia, italiana e internazionale.

Questa volta abbiamo scoperto che il fotografo svizzero dei Rolling Stones è molto più rock’n’roll di loro, che le copertine – nel caso di David Bowie – a volte ritornano, che a Lucio Battisti potevi tranquillamente tirare le pietre, che dagli occhi di Amanda Lear uscivano diamanti e che Grace Jones, in fondo, è umana come noi.

Come nella puntata precedente, abbiamo preparato una playlist che raccoglie brani tratti dagli album che stiamo per segnalare.

 

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Robert Frank: The Rolling Stones – Exile on Main St.
L’influente libro fotografico The Americans, uscito nel 1958 con una prefazione di Jack Kerouac, raccoglie 83 immagini scattate da Robert Frank in due anni di viaggio in lungo e in largo per gli Stati Uniti. Il fotografo svizzero naturalizzato americano fece appena qualche scatto in più, circa 28.000. Una delle foto scartate, un collage di immagini nella sala d’attesa di un tatuatore sulla Route 66, è diventata, nel 1972, la copertina di Exile on Main St. C’è Three Ball Charlie, un intrattenitore degli anni ’30 qui ritratto con tre palle nella bocca, una locandina del contorsionista Joe Allen, un ventriloquo, ballerine e prestigiatori. Un’umanità di esiliati, bizzarra e buffa, alla quale gli Stones si sentono in qualche modo vicini, tanto che all’interno del disco ricreano l’effetto collage utilizzando delle loro immagini. Exile è un album lungo, che spazia dal blues al country, dal rock al soul. Contiene 18 brani ma non una (I Can’t Get No) Satisfaction o una Jumpin’ Jack Flash, e senza l’atteso singolo da classifica inizialmente non convinse tutti. Lester Bangs lo stroncò, per poi ricredersi e affermare che si trattava del loro lavoro migliore. La collaborazione degli Stones con Robert Frank proseguì oltre la copertina. Al fotografo, che era anche regista, venne chiesto di realizzare un documentario seguendo il tour di presentazione di Exile. Poi però, visti i contenuti particolarmente forti (feste, groupie, droga, il solito insomma), la band si oppose alla diffusione del materiale, in disaccordo con Frank. In quel caso un fotografo svizzero fu più rock’n’roll degli Stones.

 

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Masayoshi Sukita: David Bowie – “Heroes”
Ad aver ispirato David Bowie per la posa nella foto sulla copertina di “Heroes” (1977) è Roquairol, quadro del 1917 del pittore tedesco Erich Heckel. Lo scatto è del giapponese Masayoshi Sukita, che scoprì Bowie nel 1972 attratto dal manifesto di The Man Who Sold the World. Dopo averlo visto sul palco, Sukita riuscì ad incontrarlo per una sessione fotografica. Nacquero così un sodalizio professionale e un’amicizia lunghi quarant’anni. Lo scatto di Sukita è divenuto nel tempo talmente noto che la copertina di The Next Day, album di David Bowie uscito nel 2013, riprende quella di “Heroes” e più che citarla la sfregia, posizionando un quadrato bianco sul volto dell’artista e cancellando il titolo del disco del 1977. “Heroes” fa parte, insieme a Low e Lodger, della cosiddetta trilogia berlinese, tre album realizzati in collaborazione con Brian Eno, in un periodo di rinascita creativa per Bowie dopo la crisi di metà anni ’70. Il Duca Bianco lascia Los Angeles per tornare in Europa, ibrida i propri suoni con i synth e l’elettronica e rimette in moto una carriera che sembrava finita.

 

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William Klein: Serge Gainsbourg – Love on the Beat
Un album funk rock con testi su omosessualità e prostituzione. Suscitò scandalo all’epoca, era il 1984, in particolare il brano Lemon incest che venne presentato con un video in cui Serge Gainsbourg era disteso sul letto accanto alla dodicenne figlia Charlotte. La foto in copertina, che vede Gainsbourg vestito e truccato da donna, è opera di William Klein, uno dei più importanti fotografi statunitensi, autore di famosi scatti sia per la moda che di reportage. NME riporta che Serge Gainsbourg, in attesa di farsi ritrarre da Klein, smise di bere per 12 giorni.

 

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Cesare Monti: Lucio Battisti – Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera
Se avete amato i dischi degli anni ’70 di Fabrizio De André, Angelo Branduardi, Pino Daniele e Lucio Battisti avete sicuramente avuto in mano una copertina di Cesare Monti. Per quella di Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera, uscito nel 1976, sia lui che il cantautore di Poggio Bustone cercavano qualcosa di «più fisico, più musicale e meno mentale». In una strada sterrata non lontana dallo studio di registrazione Il Mulino – ha raccontato il fotografo nel suo blog – c’era una grossa pozzanghera ma la corsa di Battisti non alzava abbastanza spruzzi e Monti decise allora di lanciare anche dei sassi. Battisti correva nel pantano in mezzo a lanci di pietre, ogni tanto scivolava ma si rialzava dicendo «Ao cio er fisico». Il giorno dopo Monti lo chiamò per dire che le foto erano venute bene. Rispose la compagna, Lucio Battisti era a letto con la febbre alta.

 

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Jean-Paul Goude: Grace Jones – Island Life
La collaborazione tra il fotografo, regista e grafico francese Jean-Paul Goude e la cantante, attrice e modella di origini giamaicane Grace Jones iniziò alla fine degli anni ’70 e non fu limitata alle copertine dei dischi. Goude si occupò dell’immagine, delle coreografie per i concerti e della regia dei videoclip di Grace Jones. Island Life, uscito nel 1985, è un best of che riassume l’attitudine disco, reggae e pop di Jones e fa il punto sui primi nove anni della carriera dell’artista. Anche l’immagine utilizzata nella copertina mette insieme momenti diversi, scatti diversi per la precisione. L’aspetto androgino e i tratti quasi robotici di Grace Jones forse la rendono plausibile, ma senza il ritocco pre-Photoshop di Goude, la posizione che l’artista tiene nella copertina non è umanamente sostenibile. L’immagine ha avuto molto successo ed è stata poi citata in diversi altri contesti. Anche la cover di Fever di Kylie Minogue è un omaggio al gesto impossibile di Grace Jones e Jean-Paul Goude.

 

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W. Eugene Smith: Thelonious Monk – Monk
Il fotogiornalista che tra le altre cose documentò la Seconda guerra mondiale sul fronte del Pacifico e più tardi la sindrome di Minamata in Giappone, tra il 1957 e il 1965 rivolse la sua attenzione a quel che avveniva in un loft molto particolare di New York. Nel flower district di Manhattan si incontravano, provavano e si esibivano i più importanti musicisti jazz dell’epoca, tra loro Charles Mingus, Thelonious Monk e Bill Evans. Per otto anni quel loft divenne la “casa” di W. Eugene Smith che scattò qualcosa come 40.000 foto e registrò 4.000 ore di musica e conversazioni. Nel 1997 lo scrittore Sam Stephenson si è imbattuto nel monumentale archivio di foto e nastri lasciato da Smith e ha dato vita a The Jazz Loft Project, con lo scopo di ordinare e conservare i materiali raccolti. Riguardo la copertina, non sorprende che Monk, il settimo album del compositore e pianista statunitense Thelonious Monk, uscito nel 1964, abbia una scatto del fotografo del Jazz Loft.

 

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Pierre et Gilles: Amanda Lear – Diamonds for Breakfast
Piange lacrime a forma di diamante Amanda Lear sulla copertina di Diamonds for Breakfast (1980), uno dei primi lavori importanti realizzati dai francesi Pierre Commoy e Gilles Blanchard. Le loro fotografie, poi ritoccate a mano con tecniche pittoriche, sono coloratissime, volutamente kitsch e reinterpretano temi e soggetti legati alla storia dell’arte e alla cultura popolare spesso attraverso l’uso di nudi maschili. Siamo agli inizi degli anni ’80, in Europa la disco funziona ancora e Diamonds for Breakfast ottiene un buon successo in particolare con i pezzi Fabulous (Lover, Love Me) e Diamonds. In Italia è uscito con le versioni in italiano dei brani Insomnia, cantata da Amanda Lear insieme al marito Alain-Philippe Malagnac, e di When, che nell’edizione italiana si intitola Ciao. Nella loro carriera Pierre et Gilles hanno fotografato, tra gli altri, Madonna, Kylie Minogue, Marilyn Manson, Marc Almond, Khaled, Catherine Deneuve, Tilde Swinton, Serge Gainsbourg, Stromae, Étienne Daho, Jean-Paul Gaultier, Nina Hagen, Naomi Campbell, Cocorosie.

 

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Mick Rock: Syd Barrett – The Madcap Laughs
Le foto di David Bowie periodo Ziggy Stardust sono opera sua. E poi Queen, Lou Reed, Iggy Pop and The Stooges, Sex Pistols, Ramones, Talking Heads, Roxy Music, Thin Lizzy, Mötley Crüe, Blondie. “The Man Who Shot the Seventies” ha davvero segnato l’immaginario visivo di quel decennio musicale. Quella che si vede sulla copertina è la camera da letto di Syd Barrett, che abitava a Wetherby Mansions vicino a Earl’s Court, a Londra. «Quando arrivai per scattare le foto per The Madcap Laughs Syd era ancora in mutande – ha raccontato Mick Rock – e la sua ragazza del momento, “Iggy the Eskimo”, era nuda in cucina». È lei nella foto nel retro di copertina e in altri scatti realizzati quel giorno e molto noti, forse anche più della copertina vera e propria. L’esordio solista dell’ex Pink Floyd, pubblicato nel 1970, è un album in bilico tra folk e psichedelia, ricco di intuizioni folgoranti ma anche di evidenti imperfezioni. L’ennesima dimostrazione della genialità di Barrett così come della sua estrema difficoltà a gestirla. The Madcap Laughs comunque piacque anche all’epoca e convinse la casa discografica a mettere in cantiere un secondo disco. «È un buon lavoro, ma non credo varrebbe come mia dichiarazione finale» disse Barrett.
Fotografia Europea 2013 ha ospitato la mostra Rock’ Stars, una selezione di 50 scatti di Mick Rock tra copertine di album, ritratti e dietro le quinte.

 

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Lee Friedlander: John Coltrane – Giant Steps
Influenzato nei primi lavori da Eugène Atget, Robert Frank e Walker Evans, Lee Friedlander ha in seguito sviluppato un proprio sguardo sul «social landscape» delle città americane. Riflessi delle vetrine dei negozi, manifesti e segnali stradali, sono alcuni degli elementi di uno stile che è stato anche di ispirazione per altri fotografi. A metà degli anni ’50 si è trasferito a New York e scattare foto per le copertine degli album dei musicisti jazz è stato uno dei primi lavori del giovane Friedlander. Giant Steps (1960), quinto album del sassofonista jazz statunitense, è stato il primo successo di John Coltrane come solista ed è considerato uno dei dischi più importanti della storia del jazz.

 

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Weegee: John Zorn – Naked City
La foto sulla copertina di questo disco del musicista e compositore d’avanguardia John Zorn, uscito nel 1990, era stata scattata da Weegee cinquant’anni prima. Si intitola Corpse with Revolver C.A. 1940 e documenta un assassinio in tutta la sua crudezza. Questo faceva Arthur Fellig, in arte Weegee. Fotografava, arrivando a volte anche prima della polizia, i fatti di cronaca, spesso cruenti, nella New York degli anni ’30. Inventò in pratica la figura del fotoreporter d’assalto ma la qualità dei suoi scatti e la potenza del suo racconto lo portarono a invadere i territori dell’arte. Nel 1941 inaugurò a New York la sua prima mostra personale, Weegee: Murder is My Business, e nel 1945 uscì il suo primo catalogo, Naked City, che ispirerà il film noir The Naked City (1948) e la serie TV. Sono di New York anche i musicisti che John Zorn ha chiamato attorno a sé per questo album. Bill Frisell alla chitarra, Wayne Horvitz alle tastiere, Fred Frith al basso e Joey Baron alla batteria. L’album, Naked City, alterna composizioni di Zorn a versioni free jazz di famose colonne sonore. Se vi state chiedendo cosa c’entrano dei pacifici musicisti jazz con la violenza documentata da Weegee, provate a sentire alcuni frammenti del disco, You Will Be Shot, ad esempio.
La mostra Weegee: Murder is My Business è stata ospitata a Palazzo Magnani all’interno del programma di Fotografia Europea 2013.

 

foto in alto: Grace revue et corrigée, New York, 1978 © Jean-Paul Goude

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