Intervista a Walter Guadagnini

Intervista a Walter Guadagnini

Qualche domanda a Walter Guadagnini, curatore e insegnante di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti a Bologna, che per l’edizione 2013 di Fotografia Europea ha presentato la collettiva “Vita Nova” della quale fanno parte: Evan Baden,  Julia Fullerton-Batten,  Luigi Gariglio, Paul Graham, Lise Sarfati, Hannah Starkey, Hellen van Meene, Raimond Wouda, Tobias Zielony.

Nel ’900 alcune fotografie hanno cambiato il mondo: è ancora possibile nel nostro tempo?

Una fotografia da sola non ha mai cambiato il mondo, è sempre stata parte di processi più complessi, di informazione o di propaganda. Sicuramente in alcuni casi ha creato quelle icone necessarie alla diffusione della conoscenza, e soprattutto alla sedimentazione nelle coscienze, di determinate situazioni. Proprio per questo motivo, casi recentissimi come quello delle fotografie uscite da Abu Ghraib – esemplari della capacità della fotografia di rendere più ‘vere’ informazioni che in realtà già esistono – testimoniano della continuità di questa funzione. Ciò che differenzia sostanzialmente la situazione attuale da quella del passato è che non sono più necessari i professionisti, basta il telefonino di un soldato più idiota degli altri per far conoscere al mondo i fatti.

Per confrontarci realmente con una persona o una situazione nuova dobbiamo “metterci nei panni” dell’altro: possiamo dire che il fotografo compie un’operazione dello stesso tipo?

A volte sì, altre no, è questione di ben precise scelte etiche ed estetiche. Se però penso ad alcuni dei fotografi che ci hanno messo più direttamente di fronte all’”altro”, inteso nel senso di colui del quale sono più gli aspetti che non conosciamo di quelli noti, allora mi pare che il meccanismo sia diverso. Larry Clark o Nan Goldin non si mettono nei panni dei loro soggetti,  perché sono loro stessi parte di quel mondo : per la maggior parte degli spettatori, che vivono una vita profondamente diversa, l’altro è quindi il fotografo, e sono quindi gli spettatori a mettersi nei panni del fotografo. Un autore come Goldberg, ad esempio, invece di mettersi nei panni dell’altro chiede all’altro di parlare in prima persona, di intervenire nella formulazione dell’immagine.   

L’intervista è pubblicata in versione integrale nella pagina dedicata alle mostre curate da Walter Guadagnini.

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