Mario Dondero, poeta del reportage

Fotografare è un atto violento. Fotografare è sovente prevalere sulle persone. Io per esempio convinco spesso le persone a farsi fotografare anche quando sono nolenti... però le mie fotografie raccontano la vita. La ricchezza di questo mestiere è conoscere il mondo, conoscere gli essere umani

Nel 2011 Fotografia Europea ha avuto il piacere e l’onore di ospitare una grande mostra antologica di Mario Dondero, “Mosaico Italiano”, a cura di Elio Grazioli.

Leggenda del fotogiornalismo, autentico poeta del reportage, Mario Dondero ci ha raccontato della sua mostra, della sua poetica di fotografo “politico” e del suo legame con la città di Reggio Emilia dove negli anni ’60 ha realizzato un documentario sulle cooperative rosse seguendo un diffusore dell’Unità in bicicletta. “Perché siete comunisti?” chiedeva alle persone bussando alle porte dei contadini nella campagna emiliana. Nella nostra intervista del 2011 Dondero ricorda inoltre il lavoro realizzato per le Cantine Riunite, la loro «fantastica squadra di basket» e la “red Coca Cola“, vale a dire il Lambrusco esportato negli Stati Uniti.

Una questione di verità

«Ho incontrato il suo nome studiando Ugo Mulas – racconta Elio Grazioli a Doppiozero – e subito mi sono reso conto che il legame che li univa aveva un senso profondo, sia umano sia artistico, ma qui come le due facce della stessa medaglia. L’acutezza di sguardo di Mulas è l’altra faccia della naturalezza di Dondero, è un’acutezza “naturale” tanto quanto la naturalezza di Dondero è “acuta”, piena e significante. Ma che cosa cercava nell’immagine quando scattava? La naturalezza appunto, perché essa fa emergere una verità che solo l’immagine sa catturare, a cui le parole girano intorno come a un buco, che l’immagine invece restituisce come fosse lì da sempre».

Non esitai un momento a pensare a lui, per me la sintesi del reportage classico e insieme del neorealismo

«Sono passati diversi anni prima che avessi l’occasione di guardare con più attenzione la sua opera e poi di conoscerlo di persona – continua Grazioli – l’occasione fu il festival Fotografia Europea, l’edizione in cui mi si chiese di riassumere in qualche modo i caratteri secondo me della fotografia italiana. Non esitai un momento a pensare a lui, per me la sintesi del reportage classico e insieme del neorealismo. Allora cercai tutte le sue immagini che mi è stato possibile reperire.
Poi scegliemmo insieme un certo numero di immagini per la mostra di Reggio Emilia, quelli che lo hanno comunque reso famoso, la Callas con Visconti e Bernstein (1955), il gruppo del Nouveau Roman (1959), il Pasolini con la madre (1962), Edoardo Sanguineti tra le bolle di sapone (1963), i fratelli Cervi (1966), e ancora le mondine (1959), la diffusione in bicicletta del quotidiano “L’Unità” nelle campagne emiliane (1966), i due contadini calabresi ammiratori di Mao Tse Tung (1967), la Sorbona occupata (1968), le foto del muro di Berlino appena prima, “in attesa”, della caduta (1989), e “l’uomo che voleva raggiungere la luna”, come ha titolato significativamente un uomo che si arrampicava su un palo colto con la luca proprio accanto (1994)…»

«Il suo mito – conclude Grazioli – era Robert Capa, della sua foto del milite colpito a morte parlava in continuazione negli ultimi anni, essendosi prodigato personalmente a ricostruirne la veridicità messa in dubbio da altri. La fotografia era dunque per lui ancora e sempre una questione di verità, forse era la verità stessa. In che senso lo abbiamo capito, quello della corrispondenza con la realtà da tutte e due le parti dell’obbiettivo.»

Mario Dondero ha donato alla collezione di FE oltre 40 fotografie tra quelle esposte a Reggio nel 2011. Le foto della gallery fanno parte di questa generosa donazione.

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