10 anni di FE. Siamo stati qui #9: Palazzo da Mosto
Fin dalla sua prima edizione Fotografia Europea va alla scoperta dei luoghi più suggestivi della città, alcuni sconosciuti anche agli stessi cittadini. L’obiettivo è di valorizzare lo spazio urbano e il patrimonio storico-architettonico attraverso l’apertura straordinaria di edifici riqualificati e di spazi solitamente inaccessibili, con progetti di mostra e allestimenti site specific.
Le Mostre
Palazzo da Mosto, appena restaurato, diventa sede di una delle più importanti mostre di questa edizione di Fotografia Europea: la collettiva No Man Nature, a cura di Elio Grazioli e Walter Guadagnini.
Il taglio scelto per la mostra No Man Nature solleva i temi della natura senza uomo e dell’uomo senza natura: una riflessione sulla possibilità dell’esistenza di un mondo senza più uomo e, d’altra parte, dell’invenzione da parte dell’uomo di un mondo che non rimanda più alla natura. Queste possibilità possono essere percepite come pericoli, quello ecologico della distruzione della natura e dell’autodistruzione della specie umana o quello dell’euforia della “tecnica” che ha come contraltare la solitudine dell’essere umano di fronte al mondo.
A volte desideriamo di vivere in una natura incontaminata e deserta, mentre al tempo stesso stiamo costruendo un mondo completamente modellato sul virtuale e sull’immaginario, con una natura altrettanto virtuale e immaginaria.
Opere di Darren Almond, Enrico Bedolo, Ricardo Cases, Pierluigi Fresia, Stephen Gill, Dominique Gonzalez-Foerster e Ange Leccia, Mishka Henner, Amedeo Martegani, Richard Mosse, Thomas Ruff, Batia Suter, Carlo Valsecchi, Helmut Völter
Il luogo
Il palazzo prende il suo nome dal ferrarese Francesco da Mosto, che si stabilì in città a partire dal 1472 in qualità di Massaro ducale, acquistò il palazzo ed eseguì lavori di ristrutturazione e ampliamento.
Alla morte di Francesco da Mosto il palazzo passò ad altri proprietari, fra i quali i marchesi Pallavicino, parmensi, a metà Cinquecento la famiglia Cassoli di Reggio e agli inizi del Settecento al conte Ferrarini.
Pietro Manodori nel 1857 rilevò il palazzo dai conti Greppi di Milano a proprie spese, per aprirvi l’asilo infantile nel 1860, e che poi rimarrà aperto fino agli anni Novanta del secolo scorso.
L’edificio reca all’esterno chiare tracce della forma rinascimentale, sia nel paramento laterizio che nel ricco cornicione decorato con busti di imperatori romani, originariamente raccordati da una fascia a girali vegetali dipinta ad affresco. La sua forma riporta alla tradizione decorativa lombarda di fine Quattrocento.
Lo scalone che dal cortile interno conduce ad un loggiato ad archi da cui si accede al piano nobile è stato addossato nel Settecento al nucleo primitivo. In origine era ornato alla base con due cani in pietra oggi conservati ai Musei Civici.
In una stanza del piano nobile, che faceva parte dei locali d’abitazione del direttore dell’asilo, si trova una decorazione pittorica a putti danzanti dipinta dal reggiano Cirillo Manicardi, marito dell’allora direttrice dell’asilo Ada Livi, che collaborò con l’artista dipingendo i mazzi di fiori.
Il progetto di restauro ha mantenuto la struttura originaria del complesso architettonico, recuperando dove possibile anche i fregi pittorici, gli eleganti soffitti a cassettoni, i medaglioni e i cornicioni in terracotta.
Durante i lavori di restauro, sono emerse tracce evidenti del palazzo quattrocentesco. In particolare, la pulitura dei muri di alcune sale del piano terra ha lasciato scoperti parti di affreschi accuratamente recuperati, così come decorazioni dei soffitti in tutta l’ala ‘nobile’ e una porta d’ingresso sotto il portico dell’accesso da via Mari.
Nei sotterranei, sono ora evidenti le pavimentazioni e i livelli di abitazioni di epoca medievale.
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