INTERVISTA A SEBA KURTIS

INTERVISTA A SEBA KURTIS

Vi presentiamo un breve stralcio da un’intervista realizzata dal curatore Daniele De Luigi a Seba Kurtis, artista di origini argentine che De Luigi ha proposto per l’edizione 2012 di Fotografia Europea con una mostra dal titolo Thicker than water, le cui opere sono frutto di una produzione realizzata in questi mesi a Manchester appositamente per il nostro festival. Attraverso le parole di Seba Kurtis e Daniele De Luigi ripercorriamo brevemente i temi salienti e il metodo di lavoro dell’artista.

Daniele De Luigi: Attualmente stai preparando un nuovo progetto per Fotografia Europea a Reggio Emilia lo stai realizzando qui a Manchester, nella città in cui vivi ora, e il tema chiave dell’evento è la vita comune, il concetto di comunità e cittadinanza. Il tuo lavoro, come di consueto, riguarda persone provenienti da altri paesi, alcune delle quali hanno sopportato gravi sofferenze negli anni passati, ma questa volta ti stai concentrando particolarmente sulla loro nuova vita qui, su ciò che condividono con altre persone. Ne vuoi parlare?

[youtube id=”xV8APNhZK3A” width=”500″ height=”300″ align=”left”]

Seba Kurtis: Sì, ancora una volta, è un tema davvero complesso, perché noi ci concentriamo sempre su come fanno ad arrivare qui o su cosa fanno per arrivare qui e poi forse se ne vanno… ma il processo di integrazione che avviene nel frattempo nella vita comune, come dici tu, nella società, nella cultura ha molti livelli diversi, alcuni si integrano molto presto, altri non si integrano mai perché preferiscono mantenere la propria cultura, altri ancora fanno un’enorme fatica a entrare o uscire.

A volte si hanno delle cose in comune, tipo la musica o l’arte, che uniscono e di cui si può parlare, ma nella vita quotidiana, per persone che vengono da ambienti completamente diversi (come il Kurdistan, la Repubblica Ceca, o l’America Latina) e arrivano in Gran Bretagna, rompere le barriere e diventare parte della comunità è molto difficile.

 Alcuni ci riescono facilmente, altri fanno molta fatica, quindi in questo progetto mi piacerebbe lavorare su questa tensione tra il fare la cosa giusta e fare la cosa sbagliata, tra prendere la decisione giusta o prendere la decisione sbagliata, ma alla fine bisogna essere parte della comunità, bisogna integrarsi nella comunità, la vita comune così come si esprime giorno per giorno, giusto o sbagliato che sia: questa tensione mi interessa molto. Sto lavorando con persone che ho conosciuto prima di venire qui 5 anni fa, quelle che sono riuscito a rintracciare e a contattare per chiedergli cosa stanno facendo oggi: alcuni fanno le stesse cose che facevano 5 anni fa – lavorano nello stesso posto, vivono nello stesso posto, o non hanno una casa, ma lavorano ancora nello stesso posto -, altri hanno fatto dei progressi. Allora, la comunità come vede questi progressi? Questi progressi come li pongono nella vita comune? La gente di qui questi progressi li percepisce positivamente, accoglie questi immigrati nella comunità e riceve qualcosa in cambio, o niente di tutto questo?

DDL: Molto spesso si crea una situazione paradossale, perché queste persone hanno una loro vita qui, una vita reale, ma talvolta non hanno il diritto di essere totalmente liberi dove vivono adesso…

SK: Capita anche a me qui. Quando pensi, ripeto, di fare la cosa giusta, dai quello che puoi alla società, legalmente i documenti dicono che hai il permesso di stare qui, quindi ti permettono di fare certe cose, ma la legge ti dice che non sei il benvenuto o che non ci dovresti essere, quindi, ripeto, io penso che come gestisci la tua identità di cittadino in una società sia una questione psicologica quando cerchi di studiare, quando cerchi di lavorare, quando cerchi di fare cose positive in una comunità e il sistema su cui si regge la comunità non ti vuole o non ti dà il permesso di restare, e questa è un’altra tensione fra te stesso e la vita comune.

Nessun commento

Commenti chiusi.