approfondimenti sul tema/6

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 Oggi pubblichiamo il seguito dell’intervista a Julia Draganovic, curatrice tedesca che farà parte del comitato di curatori della prossima edizione del festival. Con lei abbiamo parlato del tema e di come questo si inserisce nel suo percorso di ricerca.

Molto spesso in nome della “partecipazione” la componente conflittuale, che fa intrinsecamente parte della vita in comune, viene spesso ignorata o taciuta. Nella tua ultima mostra “Click or Clash?” (alla galleria Bianconi di Milano) ti rifai alle teorie espresse da Chantal Mouffe e da Markus Miessen, riguardanti proprio la gestione dei conflitti nelle democrazie. Come pensi questi aspetti ricadano sulla produzione artistica?

In effetti credo che il “consenso” come obiettivo democratico sia sopravvalutato. Troppo spesso la pretesa di agire sulla base del consenso è stata nei sistemi totalitari la scusa per delle atrocità tremende…. La vera sfida della democrazia sta nell’accettare che ci sono delle opinioni non “conformi” e che bisogna non solo accettarle ma anche rispettarle e trovare delle soluzioni di convivenza senza negarne il diritto d’esistenza.

Qual è il ruolo dell’arte in tutto ciò? L’arte è sempre, come diceva il poeta tedesco Günter Eich “anziché l’olio, la sabbia nel motore”. L’artista è quello che ci fa vedere cose mai viste, che ci mette a disagio, che ci fa riflettere, con cui non andiamo d’accordo ma non sappiamo perché, e più ci pensiamo, più ci accorgiamo che lui, forse, non sbaglia nemmeno tanto e che, anzi, ha un diritto d’esistenza anche lui, che sì, è vero, forse ha anche ragione, ma dai – è pazzo! Oh no?

Voglio dire che il ruolo dell’artista è metterci in discussione, il che serve molto per rendersi conto che, oltre al nostro punto di vista, ci sono altre prospettive e che vale la pena di provare a prendere il punto di vista di un altro.

Il ciclo di mostre e dibattiti intitolato Click or Clash? Strategie di Collaborazione che LaRete Art Projects sviluppa con il sostegno della Galleria Bianconi a Milano prova a sperimentare delle strategie di confronto rispettoso in questo senso. Infatti, la prossima tappa di Click or Clash, che inaugura giovedì 19 gennaio, presenta le opere di tre artisti che da anni si occupano della relazione fra individuo e collettività e delle strutture di potere legate a questo rapporto. Marco Giovani, Niklas Goldbach e Yves Netzhammer si sono incontrati per la prima volta a Milano nell’estate scorsa su nostro invito: ciascuno conosceva e rispettava il lavoro dell’altro, ma hanno subito optato per presentare ciascuno una serie di opere indipendente dagli altri, cioè senza collaborare, ma facendo riferimento al quello che ciascuno crede sia la posizione dell’altro. Sono molto entusiasta di quello che ne è venuto fuori: una sinfonia sui tentativi di salvaguardare l’individualità e il rispetto per quello che non fa parte del coro comune.

Diverse tematiche sono sempre più presenti nel lavoro di molti artisti: lo scontro tra individuo e collettività, la crescente distanza tra cittadini e classe politica, il potere e l’influenza delle lobby economiche e dei mass media, il problema dell’immigrazione e della condivisione o esclusione di diritti civili e politici, ma anche le nuove possibili forme di partecipazione democratica. Quale pensi possa essere il potenziale critico che l’arte può svolgere nel contesto contemporaneo?

Come detto di sopra: Penso che il ruolo dell’arte sia quello di farci vedere ciò che da soli non siamo in grado di percepire. Di sviluppare nuove prospettive. A volte l’arte sembra presentare dei fenomeni a prima vista meramente estetici, ma in fondo tutto può essere visto anche da una prospettiva socio-politica. Dagli anni sessanta in poi abbiamo visto sempre più artisti lavorare in ambienti sociali, sviluppando dei progetti che spesso non mirano a produrre degli oggetti d’arte, ma ad innescare dei processi. Spesso mi chiedono qual è la differenza fra certi interventi artistici e un qualsiasi impegno socio-politico. Credo che il segreto stia sempre nell’ipotesi che l’arte sia un modo di comunicare tramite i sensi, la percezione.

Un artista come Joseph Beuys aveva delle intenzioni politiche che si potevano spiegare in modo discorsivo (ed infatti, lui era fra i fondatori di un partito politico che oramai ha fatto una lunga strada Die Grünen, i Verdi). La sua capacità artistica stava nel fatto che poteva comunicare le sue idee tramite degli interventi estetici piuttosto intuitivi. Piantare mille querce contro la sparizione delle foreste, prendere a botte un televisore in televisione, arrivare direttamente dall’Europa ad una galleria newyorkese in un’ambulanza per rinchiudersi nella galleria con un coyote – tutto ciò aveva una forza visiva, olfattiva, sonora che reggeva il confronto con spiegazioni intellettuali, aggiungendo un plusvalore importante. Il potere dell’estetica, intesa come comunicazione tramite la percezione, non ha mai perso il suo potere e per fortuna ci sono tanti artisti che ci fanno ancora scoprire delle soluzioni alternative rispetto a quelle che ci possono sembrare delle situazioni senza speranza. Credo quindi, soprattutto in un paese come l’Italia, dove “l’immagine” e la “bella figura” contano così tanto, che il ruolo dell’artista sia indispensabile.

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