approfondimenti sul tema/4

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Terza domanda tratta dall’intervista a Riccardo Panattoni, docente di Filosofia all’Università di Verona, al quale abbiamo chiesto alcune riflessioni sui concetti di partecipazione e comunità.

“Partecipazione” è una parola largamente usata dalla politica, specialmente quando essa tenta di condividere le sue scelte con la popolazione. Non credi, però, che il vivere in comunità presupponga anche una componente conflittuale e violenta che viene spesso ignorata? Forse una vera e piena “partecipazione” non si esprime anche attraverso la gestione dei conflitti e portare così ad un vero confronto? 

Ritengo che la politica, quando lo fa, faccia bene a richiamare la necessità della partecipazione. Una politica partecipativa e non semplicemente rappresentativa è ciò di cui il nostro Paese, in modo particolare in questo momento storico, ha maggiormente bisogno.

La partecipazione comporta qualcosa di molto più radicale del conflitto, perché è già di per sé “partizione”. Non implica infatti la ricerca di un accordo nonostante tutto, non prospetta un’ideale armonia, ma è polemos, è un’azione che nel suo tenere insieme riconosce ciò che è e rimane necessariamente separato. È una modalità dell’agire comune che si rivolge all’etica, a un’etica di fatto e sempre contingente, non certo a un’etica presupposta. Il conflitto e la violenza sono invece dialetticamente legati al concetto di ordine costituito e per questo devono essere costantemente regolamentati, in forma preventiva, dai dispositivi di legge del contratto sociale.

Al contrario, la partecipazione indica la capacità attiva di rendere politicamente significativa una certa passività, una necessità a “stare” sempre e comunque in situazione. Rispetto alla differenza di genere potremmo dire che la partecipazione è più legata al femminile che al maschile. Anche su questa necessità di tenere non soltanto insieme l’attivo e il passivo, ma di farli vedere in atto, la fotografia ha di nuovo molto da insegnare.

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