An Act of Faith: Bitcoin and the speculative Bubble
Le criptovalute sono un “atto di fede”, privo di prove tangibili della loro presenza fisica. I Bitcoin in circolazione sono poco più di 19,4 milioni (2024). Dei 21 milioni di token Bitcoin, il 92,44% è già in circolazione.
Spesso etichettato come “bolla speculativa”, il Bitcoin è un bene digitale ad alto rischio che può circolare senza l’autorità centralizzata di una banca o di un governo. Continua a subire una costante mancanza di sostegno da parte del dibattito economico mainstream.
Il 2017 è stato un anno spartiacque per le “valute virtuali”: il Giappone è stato il primo Paese a sostenere il Bitcoin, consentendogli di diventare una forma di pagamento legale. Nonostante i dubbi dell’Occidente, a Tokyo un gruppo di sostenitori simile a una setta è stato l’avanguardia che ha creato un elemento sia sociale che estetico per il Bitcoin, colmando il perdurante vuoto di esperienza umana, contribuendo al suo comportamento erratico sul mercato. Al termine di questo progetto nel 2017, il Bitcoin valeva circa 900 dollari; l’anno successivo era salito a oltre 13.000 dollari. Al suo apice, nel novembre 2021, un Bitcoin valeva oltre 60.000 dollari.
Sebbene un tempo fosse possibile per individui impegnati e capaci, il processo di estrazione di Bitcoin è diventato sempre più complesso e dispendioso in termini di energia man mano che la sua vita sul mercato proseguiva. Ne è risultata una crescente influenza delle imprese e dei poteri aziendali dedicati, le cui risorse collettive hanno permesso di espandere il processo di produzione, spesso trasferendosi in mining farm create ad hoc. Nel 2012 una di queste aziende, Genesis Mining (non più in attività), ha scelto di ospitare le proprie strutture in Islanda, che, proprio come il Bitcoin, ha un paesaggio dinamico e altamente volatile, con un’inestimabile abbondanza di energia geotermica a basso costo in grado di supportare il processo di estrazione estremamente dispendioso.