archivio di luce
a cura di Alessandro Gazzotti e Pietro Mussini
Fotografare oggetti d’arte porta con sé una quantità di problematiche tecniche, ideologiche e disciplinari; oggetti per loro stessa natura portatori di complesse strategie di significazione si traducono in immagini che quel significato lo rimandano a noi amplificato, interpretato dalla luce e dallo sfondo, dal taglio e dal particolare selezionato.
La scelta di Vannini è sempre stata quella di rispettare nella maniera più precisa possibile la natura dell’oggetto fotografato. Così la sua fotografia ambisce a restituire autenticamente gli aspetti simbolici, poetici e narrativi dell’opera, nella sua totalità e nella singolarità dei suoi elementi costitutivi: le figure, il colore, la stesura e molto altro. E per fare ciò, non esita talvolta a forzare la percezione dell’oggetto, attraverso sofisticate tecniche di manipolazione delle immagini; l’oggetto non si coglie più dunque immerso nella luce naturale e nemmeno in quella artificiale delle lampade e dei flash ma in una luce assoluta, mentale, che è quella che esso stesso richiede per esibire la propria intima autenticità. L’”impronta” fotografica è qui traccia imperfetta del reale; l’oggetto diviene immagine, e l’immagine diviene sguardo.
Lo sterminato archivio di Vannini sviluppa, in questo progetto, una prospettiva di ricerca, in cui il catalogo della Galleria Parmeggiani diventa un archivio di sguardi; le sue fotografie, moltiplicate, astratte da ogni riferimento spaziale, rappresentano lo stesso oggetto, ma non sono mai la stessa immagine.