CLAUDIA AMATRUDA, Good Use Of My Bad Health
Claudia Amatruda (Foggia,1995) è un’artista visuale laureata in Fotografia e Visual Design alla Naba di Milano. Il suo lavoro si concentra sulla rappresentazione del corpo attraverso la fotografia e video installazioni, trattando temi sociali sostenuti da ricerche su testi scientifici e letterari. Nel 2019 pubblica il libro fotografico Naiade, presentato attraverso talk nelle scuole e festival italiani per sensibilizzare sul tema delle malattie invisibili. Dal 2021 ad oggi il suo progetto When you Hear Hoofbeats Think of Horses, not Zebras viene esposto in Italia, Grecia, Francia, Olanda e Inghilterra. Nel 2022 vince la Menzione Speciale per la sezione Fotografia Emergente del Premio Francesco Fabbri. Secondo Il Giornale dell’Arte è tra i 30 artisti under 30 del 2023 e ha prodotto opere NFT durante una residenza artistica di PhotoVogue x Voice.com. Nel 2025 esporrà al Festival Gibellina PhotoRoad ed entrerà nella Collezione permanente della Fondazione Orestiadi in Sicilia.
Il progetto è parte di una ricerca che ha come punto di partenza le trasformazioni nel tempo che una malattia rara degenerativa compie sul corpo dell’artista. Si ispira ai concetti di Donna Haraway, per la quale l’unione tra cyborg e umani sfida le categorie tradizionali e binarie come uomo/donna, naturale/artificiale e sperimenta attraverso lo strumento visuale la teoria di Astrida Neimanis in Bodies of Water: in quanto corpi acquatici, ci sperimentiamo meno come entità isolate e più come gorghi oceanici in cui l’acqua è una continua gestazione di differenze, complicando ogni opposizione tra “siamo tutti uguali” e “siamo tutti diversi”. L’approccio postumano trasforma il corpo in un teatro di accoglienza per elementi estranei, evidenziando contaminazioni e metamorfosi possibili attraverso l’autoritratto. L’artista ritrova il cyborg negli strumenti d’aiuto che con il deteriorarsi del corpo, entrano a far parte del suo quotidiano, e considera l’acqua come metafora della relazione e della cura.
BENEDETTA CASAGRANDE, All Things Laid Dormant
Benedetta Casagrande (Milano, 1993) è una fotografa, scrittrice e curatrice che vive a Milano. La sua pratica artistica, curatoriale e di scrittura si dispiega attraverso la slow research (letteralmente tradotta in ricerca lenta, termine coniato da Carolyn F. Strauss); la lentezza come principio di ascolto, di decelerazione e di riposizionamento rispetto al mondo, compresa come metodo per situare l’esperienza umana all’interno di reti di relazioni, spazi e temporalità più ampie. In quanto fondamentalmente basata sull’incontro con il mondo, la fotografia è il suo mezzo prediletto per entrare in relazione con l’ambiente circostante e con i suoi elementi animali,vegetali e oggettuali, attraverso movimenti di prossimità e distanza, presenza e assenza, il contatto e la sua perdita. Il suo lavoro è stato esposto in mostre nazionali e internazionali, tra cui Photo Brussels Festival, 2024; ADI Design Museum, Milano, 2023; 副本INSTANCE, Shanghai, 2021 e Photo Ireland Festival, 2019. Dal 2016 è co-fondatrice e co-direttrice di Ardesia Projects.
All Things Laid Dormant si interroga sulle modalità con cui entriamo in contatto e in relazione con gli altri animali, sullo spazio che essi occupano nel nostro immaginario personale e collettivo, sulla convivenza intraspecifica e sulla possibilità di costruire nuove forme di parentela e di intimità in un contesto di estinzione di massa. Articolandosi attraverso una serie di incontri con il mondo non-umano, mediati dall’implicita ambiguità della fotografia come mezzo che simultaneamente agevola e ostacola il contatto, All Things Laid Dormant è al contempo un’ode e un lamento, un atto di amore e una espressione di cordoglio che incarna la sofferenza del lutto e il desiderio di ritrovare un luogo e un senso di appartenenza nel contesto fragile del nostro tempo. Le immagini sono accompagnate da due testi creativi ibridi, che cambiano e prendono forma a seconda del contesto in cui vengono presentati; uno scritto dall’artista, il secondo scritto appositamente per il progetto dal poeta Lee Rae Walsh.
NOEMI COMI, Proxidium
Noemi Comi, è un’artista visiva e fotografa nata a Catanzaro nel 1996. Ha studiato presso la LABA Libera Accademia di Belle Arti di Firenze, dove ha conseguito la laurea in Fotografia con menzione d’onore. Attualmente frequenta il Biennio di Fotografia dell’Accademia di Belle Arti di Brera.
I suoi lavori sono stati esposti in mostre collettive e personali tra cui Phest Bari, Somerset House, Londra; Photometria Festival, Ioánnina; Foto Wien, Vienna; Interphoto Festival Bialystok, MIA Fair, Milano; Palazzo Tadea, Spilimbergo e Biennale della Fotografia Femminile, Mantova.
Dal 2020 è stata vincitrice o finalista di premi come Sony World Photography Awards, Gomma Grant, Premio Marco Pesaresi, New Post Photography Award, Premio Franceso Fabbri per le Arti Contemporanee, OD Photo Prize, Gibellina Photoroad e Premio Castelfiorentino.
Le opere di Noemi sono caratterizzate dalla presenza di colori forti e atmosfere surreali. Un viaggio continuo tra realtà e finzione che documenta gli aspetti più profondi della società contemporanea.
Materiali altamente inquinanti e pericolosi sono stati interrati, negli ultimi decenni, in varie zone d’Italia. I terreni agricoli, a seguito degli interramenti, risultano gravemente contaminati da sostanze nocive, alcune di esse rilevate sino a valori pari al seimila percento del limite previsto. Tra le sostanze rinvenute nei terreni si distingue il proxidium, elemento che può causare danni irreversibili anche agli esseri umani. Una recente inchiesta ha svelato uno studio condotto da un anonimo medico italiano che ha messo in luce la gravità dei danni causati dal proxidium.
Proxidium è un viaggio tra natura e scienza, nel quale immagini disarmanti aprono ad un mondo ignoto e a tratti perturbante. Un’inchiesta dalle tinte pop si fa metafora delle contraddizioni del nostro tempo, trattando temi che spaziano dai problemi legati all’inquinamento, a quelli legati all’incessante ricerca del successo e della popolarità.
L’inganno è ben visibile, si tratta di una fake news che apre a scenari ambigui e metafisici, collocati all’interno di un tempo e un luogo indefinito. La sostanza al centro della ricerca non si vede mai nella sua concretezza, mentre si intravedono di rado i suoi effetti. Ad emergere è invece la personalità del suo ricercatore. Diviene così portavoce del narcisismo e del gusto per l’orrido che caratterizzano molti aspetti della società contemporanea. Aspetti che impediscono un concreto tentativo di risoluzione e avanzamento delle tematiche legate all’Antropocene.
MASSIMILIANO CORTESELLI, Contrapasso
Massimiliano Corteselli (Tivoli, 1994) è un artista visivo che attualmente usa la fotografia per la sua ricerca sul rapporto fra l’uomo e la natura nel contesto dell’Antropocene. Vive a Berlino, dove nel 2023 si è diplomato in fotografia documentaria presso la Ostkreuzschule für Fotografie. Nel 2022 ha ricevuto una borsa di studio dalla VG Bild-Kunst/Kulturwerk Foundation per il suo progetto Contrapasso.
“Così s’osserva in me lo contrapasso” (XXVIII, 142) – dalla Divina Commedia di Dante Alighieri.
Nell’Inferno Dantesco, il contrappasso rappresenta la pena eterna contrastante o eguagliante alla colpa commessa in vita. Dietro a molti incendi boschivi nel Mediterraneo ci sono interessi economici ben precisi come la speculazione edilizia, il disboscamento per l’agricoltura o la pastorizia ed altre ragioni. In alcune aree, dove le istituzioni hanno perso la loro credibilità, il fuoco viene usato come forma di ritorsione. In altri casi, politici comunali corrotti fanno appiccare gli incendi per ricevere finanziamenti dal governo centrale per poi intascarsi una parte dei fondi. A volte i vigili del fuoco provocano gli incendi di proposito per mantenere i propri posti di lavoro. A causa della difficoltà di indagare le vere cause di questi incendi, le persone delle località interessate diffondono voci e raccontano storie che, a mio avviso, contengono temi biblici e archetipici.
Contrapasso crea un’analogia tra l’Inferno Dantesco e gli incendi nel Mediterraneo, reinterpretandoli come una pena divina per far riflettere sulla relazione tra causa ed effetto nel contesto della crisi climatica.
CAMILLA MARRESE, Field Notes For Climate Observers
Camilla Marrese (Bologna, 1998) è una fotografa e designer italiana. Dopo la triennale in Progettazione Grafica e Comunicazione Visiva all’ISIA di Urbino, ha conseguito la laurea magistrale in Information Design presso la Design Academy Eindhoven con menzione Best Thesis. La sua pratica interseca fotografia documentaria, design editoriale e scrittura nel tentativo di articolare visivamente concetti complessi. Il suo lavoro è stato esposto in mostre collettive presso la Dutch Design Week, Eindhoven; Fotografia Europea, Reggio Emilia; Espaço Alto, San Paolo; PhMuseum Lab, Bologna; Spazio MAD Magadino, Locarno e Kranj Foto Fest, Slovenia. È vincitrice del premio PhMuseum Criticae 2022.
Field Notes for Climate Observers è una guida all’osservazione e alla previsione del clima in tempo di crisi. Si compone di una serie di immagini e di un manuale articolato in 7 step: al loro interno, la scienza è un rituale ciclico, un loop di osservazioni, dati e simulazioni.
Come riusciamo a sintonizzarci su frequenze in cui il cambiamento climatico arrivi a parlarci? Come possiamo leggerne i segni e segnali, immersi nel rumore? Mentre la minaccia del collasso planetario si avvicina, i nostri sensi si stanno affievolendo. La climatologia è al centro della nostra conoscenza, eppure da cittadini non abbiamo familiarità con le sue logiche e i suoi meccanismi. Continuiamo a immaginarci al di fuori della crisi, come se potessimo guardarla da una distanza di sicurezza, studiarla e controllarla. Siamo invece al suo interno ed è un luogo strano, costellato da falle e punti ciechi. Dove anche osservare diventa, in qualche modo, un paradosso.
Field Notes for Climate Observers tenta di aumentare la nostra sensibilità e la nostra capacità di agire, ma soprattutto di abitare l’incertezza e l’impossibilità. Nello spazio della guida, nessun confine separa il metodo scientifico dall’espressione folkloristica, o strumenti artigianali da sensazioni corporee. Tutto è uno strano gesto, un rituale che compiamo. Un tentativo di avere controllo sull’incontrollabile.
CINZIA ROMANIN, Trascendence
Cinzia Romanin (Bruxelles, Belgio 1995) è un’artista visiva belga e italiana che si è laureata in architettura prima di proseguire degli studi di fotografia alla scuola di Venezia. Decisamente influenzata da questo specifico background, il suo lavoro fotografico è caratterizzato da un particolare interesse per le dimensioni ecologiche, sociali e territoriali. Attraverso l’obiettivo della suo banco ottico analogico utilizzato come un mezzo lento e sociale, il suo sguardo ci immerge in un universo sensibile e impegnato nel riconsiderare le problematiche del nostro mondo futuro.
Mentre fin dall’alba dei tempi gli esseri umani si sono sempre affidati al destino divino, la scienza ci ha recentemente fatto capire quanto le nostre scelte quotidiane stanno definendo il nostro mondo futuro. Di fronte al dilemma tra la perdita del comfort immediato e la perdita di un benessere durevole fornito dai nostri ecosistemi, potremmo chiederci quale strada sceglieremo. In che modo possiamo migliorare la nostra resilienza? Sarebbe veramente la tecnologia la nostra salvatrice? Oppure dovremmo optare per un approccio di decrescita? E, più precisamente, come raggiungeremo una forma di trascendenza con il mondo vivente che ci circonda? Combinando narrazioni personali e osservazioni di metamorfosi paesaggistiche, Transcendence indaga i diversi modi di essere resilienti attraverso temi come gli alloggi alternativi, le nuove tecnologie, il low-tech, le comunità emergenti, l’eco-femminismo, le risorse limitate e la conservazione della biodiversità. Ispirato dai dubbi e riflessioni della fotografa stessa, questo progetto intende ritrarre le riflessioni di una giovane generazione persa tra l’ansia ecologica e il desiderio di iniziare cambiamenti profondi. Attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, lo sguardo di Cinzia Romanin invita a rallentare per osservarsi intorno e a riflettere sull’impatto delle nostre decisioni attuali e future.
ALESSANDRO TRUFFA, Nioko Bokk
Alessandro Truffa (Cuorgnè, Torino, 1996) è un fotografo e artista visivo che vive a Torino. La sua ricerca si concentra sui temi legati alle relazioni di cura e alle tradizioni rituali, esplorando le possibili connessioni tra il linguaggio fotografico e ambiti disciplinari differenti come storia e antropologia.
Il suo lavoro è stato pubblicato ed esposto a livello nazionale ed internazionale in mostre e fiere come Sprint, Polycopies ed Enter Enter. Nel 2021 partecipa al progetto di residenza Archivio Atena, pubblicando in seguito il risultato della residenza con Altana Club. Nel 2022 il suo progetto Fuoco contro Fuoco è selezionato per essere pubblicato con Giostre Edizioni. Nel 2023 si diploma all’ISIA di Urbino grazie al cui sostegno pubblica con Corraini Edizioni la sua tesi dal titolo Boja Fauss.
Nioko Bokk, che in lingua wolof significa “è per tutti”, è un piccolo ecovillaggio a basso impatto ambientale, progettato per la sicurezza alimentare e l’educazione allo sviluppo sostenibile nella comunità rurale di Kafountine, tra i villaggi di Diannah e Abene, nella regione della Casamance in Senegal.
L’autore, utilizzando un metodo etnografico basato sull’osservazione partecipante e sulla raccolta di dati e informazioni, ricostruisce uno scenario in cui l’ecosistema della foresta si rivela un complesso e ramificato sistema di relazioni. La ricerca visiva si fonde con la raccolta di materiali eterogenei per offrire un’esplorazione che si muove da più prospettive: educazione e cooperazione, fotografie contemporanee e documentazione dei processi agricoli, testimonianze personali e opere che restituiscono il punto di vista delle nuove generazioni sull’ambiente e sul suo possibile futuro. Il lavoro risultante esplora così il legame simbiotico degli abitanti della Casamance con la foresta e le rispettive vulnerabilità, interrogandosi sulla responsabilità dell’azione umana negli ecosistemi naturali.