Prima di vedere questa strada per la prima volta, l’avevo già vista molte altre volte
La cosa più semplice è cominciare da questa quasi citazione. Ha avuto origine da una frase pronunciata da Philippe Descola nell’introduzione al suo corso Les formes du paysage: “prima di vedere questo paesaggio per la prima volta, l’avevo già visto molte altre volte“.
È quanto succede spesso quando si parla di paesaggi. Ma si può dire lo stesso anche per la fotografia, dal punto di vista del fotografo, si intende. Si scatta una foto che si è già vista. Ed è proprio per questo che la si scatta. Perché ciò che si vede ci fa pensare a un’immagine, e allora si immortala la scena per riconoscimento, una sorta di omaggio, amicizia, complicità, o perché, in un certo senso all’opposto, il ricordo dell’immagine rende la scena percepibile e la trasforma in un’immagine possibile, e allora la si immortala perché la si conosce.
Che si tratti di fotografia o che si tratti di paesaggi, spesso è una questione di archetipi (d’altronde, non si tratta mai davvero di qualcos’altro, qualcosa che va ben al di là di questi due ambiti?). Per la fotografia, come per le altre tecniche di rappresentazione che l’hanno preceduta, in molte occasioni non è una questione di rendere testimonianza, di dire ciò che le cose sono state, ma piuttosto di riconoscerle e di farle proprie. Forse è qui la magia: così facendo, in questo rituale di riconoscimento delle cose già viste, può succedere di prendere parte all’invenzione di qualcosa di nuovo. Ma non era questa la domanda, la domanda del giorno era: qual è dunque questa strada che non ho mai percorso, ma che ho già visto?
ab, inverno 2016
Il progetto di Alain Bublex fa parte di 2016. Nuove esplorazioni, a cura di Diane Dufour, Elio Grazioli e Walter Guadagnini.