Tutta la memoria del mondo
Dopo il successo nell’edizione 2015, Joan Fontcubera torna a Fotografia Europea per presentare il suo nuovo libro: “Paralipomena” è una mirabolante avventura della conoscenza ispirata alle collezioni dello scienziato Lazzaro Spallanzani.
A volte (ma forse sempre) le strade dell’arte sono disseminate di incontri fortuiti. Col tempo questa casualità è destinata a prendere forza, a divenire un destino. E poi accade che questo processo si pieghi a ritroso nel tempo e “renda conto” di svolte, gusti e scelte.
Nel 1980 il venticinquenne Joan Fontcuberta – allora giornalista, studioso e insegnante all’inizio di un percorso folgorante nel mondo della fotografia contemporanea – si imbatte in uno straordinario Museo. Si trova a Reggio Emilia, è intitolato a una gloria locale e popolato dalle più incredibili collezioni naturalistiche.
La figura del reggiano Lazzaro Spallanzani, scienziato settecentesco di fama mondiale, e quella del giovane intellettuale catalano iniziano a intrecciarsi. Alcuni scatti effettuati nelle sale del Museo compaiono nel primo progetto di culto di Fontcuberta, Animal trouvé. Il “dialogo” è destinato a non interrompersi…
Nel 2015 avviene il ritorno a Reggio con il progetto Gastroproda: le foto trovano collocazione tra le attrazioni dei Musei Civici. Questo molteplice scambio – il luogo, l’artista e la storia – fa proliferare l’opera. Nasce così un nuovo stupefacente libro che sarà presentato in anteprima assoluta sabato 7 maggio alle 12 al Teatro Cavallerizza nelle giornate inaugurali di Fotografia Europea. Un altro evento di rilievo nato all’interno della manifestazione come accaduto lo scorso anno con il volume “Inverno a Reggio Emilia” di Sarah Moon.
Il libro di Fontcuberta si chiama Paralipomena. Agli studenti liceali questa parola di derivazione latina ricorderà vagamente opere celebri, ma minori, di Giacomo Leopardi o Arthur Schopenauer.
Essa allude a ciò che è dimenticato, tralasciato. Ma anche a ciò che, apparentemente secondario, integra qualcosa di più conosciuto: lo mostra sotto una nuova “luce”, lo rilancia come uno specchio che può riflettere all’infinito significati e prospettive.
Il lavoro di Fontcuberta si è sempre fondato su questa “apparenza”, sulla moltiplicazione di piani che mette in crisi la nostra sicurezza percettiva e, allo stesso tempo, la rende più consapevole e ricca.
Le pagine del libro sono popolate da immagini raccolte ai Musei Civici e alla Biblioteca Panizzi di Reggio, ma anche in altri luoghi storici come il Museo Spallanzani di Pavia e il Museo Aldrovandi di Bologna. In esse l’abilità compositiva e la “bellezza” dell’insieme non fanno che accrescere enigmi e suggestioni: statue percorse dalle lumache “care” all’artista, elefanti impacchettati, teschi, particolari di occhi pachidermici, fauci spalancate… Remoto e contemporaneo si incontrano nella grande storia dello sguardo.
La rappresentazione si sviluppa senza soluzione di continuità: la natura è messa in scena dalla classificazione scientifica, la classificazione dall’organizzazione degli spazi del museo, il museo dalle scelte dell’artista, le opere dalla ri-collocazione nel libro… Una vertigine inesauribile basata, paradossalmente, sull’essenza “limitata” delle cose che, prima o poi, intravedono la parola “fine”. Potrebbe essere una definizione della fotografia, sospesa tra infinito e attimo. Senz’altro è un paradosso che conosciamo: esso prende il nome di creatività e vita.
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