A New Silk Road: Algorithm of Survival and Hope
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Camion colmi di ferraglia arrugginita in viaggio da e verso la Cina sono diventati il simbolo di un complesso processo di migrazione, sopravvivenza e cambiamento di mentalità avvenuto negli ultimi sedici anni in Kirghizistan. Di fatto, lo stile di vita del popolo kirghiso ha subito una trasformazione radicale nel corso dell’ultimo secolo: in passato nomadi, divenuti poi seminomadi in epoca sovietica, quest’ultimo ventennio ha visto i kirghisi assimilare progressivamente le distruttive e devastanti regole del mercato globale.
La strada, ancora oggi chiamata dalla gente del luogo “jibek jol” ( “via della seta”), che si snoda tra le alte montagne al confine tra Kirghizistan e Cina, è interessante anche per la sua storia. Utilizzata sin dall’antichità – esiste ancora un caravanserraglio di epoca medievale – la strada reca i segni dei vari mutamenti socio-politici avvenuti nel paese. Venne risistemata in un breve lasso di tempo dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando tra l’Unione Sovietica di Stalin e la Cina di Mao correva buon sangue. Le vecchie statue dei leader sovietici lungo la strada sono i testimoni silenziosi di quell’epoca passata. Verso la fine degli anni ’50, invece, parte di questa antica arteria di comunicazione divenne una pista per gli aerei militari schierati contro la Cina (ora un enorme parcheggio per camion). Oggi, gli ex-pastori sopravvivono servendo questi stessi camion: una piccola casa di argilla e qualche carro offrono agli autisti il conforto di un letto e di un pasto caldo.
Il progetto di Gulnara Kasmalieva & Muratbek Djumaliev fa parte di Dalla via Emilia al mondo, a cura di Diane Dufour, Elio Grazioli e Walter Guadagnini.