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Dalla Luzzara di Strand/Zavattini alle collezioni del Museo di Storia della Psichiatria: quattro fotografi contemporanei rileggono e rilanciano idee, materiali e luoghi “storici”.

Un archivio è un paradosso: qualcosa che guarda a ritroso e contemporaneamente cammina verso il futuro come l’Angelus Novus dipinto da Paul Klee nella lettura di Walter Benjamin. Chi lo “usa” – esplorandolo e interpretandolo – ne ripete l’essenza.
Allo stesso modo una manifestazione come Fotografia Europea è un’elaborazione nel cuore vivo delle dinamiche contemporanee. Le produzioni originali ospitate ai Chiostri di San Domenico e Museo della Psichiatria seguono un “sentiero” di ricerca tra approcci scientifici, investigazioni digitali, classificazioni inedite.

In principio c’era un Paese

Ai Chiostri di San Domenico va in scena il confronto con un totem della fotografia contemporanea. Parafrasando l’osservazione di François Truffaut a proposito di “Quarto Potere”, si può dire che si tratti del reportage che ha suscitato il maggior numero di vocazioni “fotografiche”. Per “Un Paese” Cesare Zavattini e Paul Strand misero insieme i loro molteplici talenti al servizio di qualcosa che forse si era visto solo nei capolavori del neorealismo e nei reportage USA degli anni Trenta: una nuova maniera di raccontare il mondo in cui la presenza delle cose si sostituiva alle prescrizioni e alle gerarchie della tradizione. Non a caso teatro di questa impresa fu un piccolo paese della Bassa reggiana sulle rive del Po: Luzzara.

Più di sessant’anni dopo tre artisti internazionali (Moira Ricci, Aleix Plademunt, Tommaso Bonaventura) sono stati chiamati a sondarne effetti e suggestioni nel panorama contemporaneo.

 

Maremma magica

Moira Ricci parte da un legame particolare con le proprie origini. La sua Luzzara è la Maremma, un ambiente peculiare in cui l’equilibrio tra uomo, natura e lavoro ha dato vita a una sintesi unica. “Dove il cielo è più vicino” nasce nel 2014 per mettere alla prova l’esigenza di un confronto con le dinamiche del mondo contadino così distanti dalla sensibilità delle nuove generazioni. Questo “ritorno” non è però innocente: a casa si riportano anche nuove forme di espressione (video, digitale, installazioni, ecc.) e un approccio che integra stupore e consapevolezza. Una mietitrebbia diventa così una specie di astronave, le case abbandonate sembrano comunicare dalle loro finestre assenti e i volti dei contadini guardano verso il cielo come in attesa di un segno che chi ha obliato il rapporto con la natura fatica a decifrare.

Immagini di un’immagine

Aleix Plademunt è tornato, invece, nei luoghi di Strand-Zavattini. Li ha “passati al setaccio” con la sensibilità di un punto di vista “straniero”. Prima un ritorno fotografico a Luzzara, poi gli scatti realizzati a Reggio Emilia. In mezzo un viaggio tra questi due poli – la città e la provincia – guidato dalla App di Google Maps: dal neorealismo all’accellerazionismo di oggi dove l’immagine sembra rimandare incessantemente a un’altra immagine “come in un’immensa accumulazione di spettacoli”. Oltre che una mostra “Un passaggio” è divenuto anche un libro composto da 1955 pagine, tante quante l’anno di pubblicazione di “Un Paese”: una soluzione per “quantificare” il tempo trascorso, ma anche per instaurare una sorta di cortocircuito percettivo come in altri precedenti lavori del fotografo catalano.

Prossima fermata: Casacalenda

Tommaso Bonaventura ha cercato la sua Luzzara nel centro-sud Italia trovandola nel Molise, a Casacalenda, 2135 anime a quasi settecento metri d’altezza in provincia di Campobasso. Qui ha deciso di fotografare tutti i residenti, uno per uno, prendendo accordi con l’Amministrazione Comunale e immergendosi in una situazione apparentemente inedita con la sua quotidianità, i suoi personaggi, le sue storie. Così è nato “Fondo”, un censimento svolto con piglio sistematico che fissa letteralmente i “tratti” del presente per consegnarli al futuro. Questa inedita “catalogazione”, infatti, proseguirà nel tempo grazie a uno studio fotografico locale. Un archivio e una volontà di completezza in singolare e apparente controtendenza con le dinamiche iper-tecnologiche odierne.

 

 

L’istituzione negata?

L’origine dell’arte si confonde con quella dell’umano stesso. Da sempre essa ha due facce: quella che guarda l’abisso, l’informe, l’aperto; l’altra  che delinea confini, cerca forme, crea ordine. Anche in archivi, raccolte, collezioni sembra riprodursi questa dicotomia: si tratta di grandiose imprese che si misurano, ad armi impari, con l’immensità di (non)senso e storia. E così anche la più rigida (e feroce) classificazione finisce con l’aprirsi a vie di fuga politiche, estetiche, immaginarie… Le collezioni del Museo di Storia della Psichiatria descrivono alcune delle azioni compiute da un’intera società per tracciare il campo della normalità e della follia: straordinarie imprese scientifiche e culturali, ma anche  traccia di indicibili sofferenze e ingiustizie perpetrate nei confronti del diverso, del debole, dell’escluso. Il lavoro di Christian Fogarolli si muove tra questi materiali suggestivi e contraddittori, attraversa la complessità di molte discipline, suscita interrogativi e punti di vista originali. Il suo “Satelliti” è un affascinante viaggio attraverso l’astronomia, la geografia, la zoologia e i mondi fantastici del sogno e dell’arte. Un modo nuovo di vivere e “far parlare” il museo e l’istituzione.

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