Fabrica: talento al lavoro

Fare incontrare giovani di tutto il mondo. Coltivarne le attitudini. Fornire nuovi punti di vista agli snodi nevralgici del proprio tempo. Questo e molto altro è Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group a Treviso.
Diverse e in continua evoluzione le discipline esplorate: design, grafica, video, musica, giornalismo. E la fotografia, naturalmente.
Ai Chiostri di San Pietro arriva un saggio di questo laboratorio con Up to Now. Fabrica Photography, mostra antologica sul percorso dai ricercatori di Fabrica a partire dal 1994 e un focus su due protagonisti di oggi: Drew Nikonowicz e Ali Kaveh.

 

Il curatore del progetto Enrico Bossan, intervistato da Walter Guadagnini,  ci parla di questa filosofia innovativa, ovvero: cosa permette ai giovani di interpretare la realtà e cambiare il mondo.

WG: Nella mostra, un capitolo importante è quello dedicato ai fotografi che nel corso degli anni sono transitati, come allievi, nelle aule del Centro: quale è il motivo di questa scelta?
EB: L’idea di Up to Now. Fabrica Photography è nata circa due anni fa, quando ci siamo resi conto che non avevamo mai raccolto e organizzato il lascito fondamentale dei fotografi che erano passati da Fabrica.
Volevamo ricostruire la nostra storia, trovare e rimettere insieme i pezzi, far vedere quello che la fotografia, così come l’avevamo supportata e incoraggiata, era stata in grado di promuovere e accendere, in termini di curiosità e di consapevolezza.
Abbiamo fatto un viaggio all’indietro individuando gli autori che ci sembravano più rappresentativi e le loro “opere prime”: tanti dei giovani con cui abbiamo lavorato nel loro periodo di formazione sono ora nomi importanti del panorama internazionale.
Un archivio emotivo, oltre che iconografico. Tante persone si sono incontrate qui avviando rapporti e collaborazioni che resistono a distanza di anni.
Questo ha a che fare con la natura stessa di Fabrica, un ambiente che accoglie giovani creativi provenienti da tutte le parti del mondo.

WG: Pensa ci siano degli elementi in comune tra questi fotografi, o prevale l’individualità dei linguaggi? In altri termini, esiste uno “stile Fabrica”?
EB: Fabrica non è una scuola, è un’idea, un ambiente in cui si ha la possibilità di provare e di sviluppare idee.
Abbiamo sempre lavorato insistendo sull’importanza dell’errore. Chi è passato da qui ha avuto la possibilità di sbagliare, di sperimentare, confrontandosi quotidianamente con coetanei e professionisti spesso lontani per cultura e provenienza.
La diversità amplifica gli stimoli e arricchisce lo sguardo.
Non parlerei di “stile Fabrica”, ognuno negli anni ha avuto modo di affinare il proprio. Quello che accomuna da sempre la nostra ricerca fotografica, però, è una grande sensibilità per i temi sociali e ambientali.
Tutti i nostri studenti hanno lasciato Fabrica con  maggiore consapevolezza e bisogno di prendere posizione con il proprio lavoro.

WG: Un altro nucleo fondamentale della mostra è rappresentato dai due giovani allievi che frequentano oggi il centro: che cosa ha portato alla scelta di questi due giovani autori, solo una questione di qualità dei singoli progetti o altre ragioni legate ai temi trattati, alle culture rappresentate, o altro ancora ?
EB: Insieme ad autori storici come Pieter Hugo e James Mollison, dovevamo mostrare cosa fanno i fotografi oggi, nel 2017. Per questo abbiamo deciso di coinvolgere due ricercatori che hanno appena ultimato i loro progetti: Drew Nikonowicz, americano di St Louis, e Ali Kaveh, arrivato qui a Treviso da Tehran.
Lavoriamo sulle differenze e cerchiamo di approfondire questioni complesse spesso sfruttando il punto di vista interno.
Ali Kaveh ha a cuore il suo Paese e voleva mostrare quanto la censura ne indebolisca le basi democratiche. Per questo riteniamo che il suo lavoro fosse uno spaccato fondamentale della situazione iraniana, perché riunisce e confronta riviste pubblicate prima e dopo la rivoluzione del 1979 e ci costringe a riflettere sul fatto che la libertà di espressione e d’informazione in ogni società non dovrebbe mai essere considerata acquisita una volta per tutte.
Drew riflette invece sulla tecnologia, sulla sua onnipresenza, a partire dall’ambiente: ha fatto un viaggio in Italia fotografando, e a volte costruendo, luoghi per lui sconosciuti (anche lui è stato in residenza a Fabrica per un anno). Le sue Notes from Anywhere sono pezzi di viaggio che usano il filtro tecnologico come parte integrante dello sguardo. Sa essere contemporaneo e poetico.

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