Intervista a Olivo Barbieri

Il fotografo Olivo Barbieri (Carpi, 1954) partecipa alla prossima edizione di Fotografia Europea con la mostra
Ersatz Lights, case study #1 east west.

Laura Gasparini, responsabile del coordinamento scientifico, lo ha intervistato.

 

Come è nato il progetto Ersatz Lights, case study #1 east west?

Dalla fine degli anni settanta, cercando le piazze metafisiche di De Chirico (esistevano o se le era inventate?), ho iniziato ad interessarmi alla luce artificiale. Prima in Europa poi mettendo a confronto Oriente e Occidente, vedi i libri ``Viaggio in Italia`` 1984, ``Notte`` 1991, ``Illuminazioni Artificiali``1995, ``Virtual Truths`` 2001.
Per Ersatz Lights intendo ciò che è stato inventato come surrogato della luce solare.
Abito a pochi chilometri dalla casa natale del Correggio e spesso ci passo davanti in bicicletta. Una delle sue opere più famose, ``L’adorazione dei pastori`` conosciuta anche come ``La Notte`` (1530), è un dipinto ambientato al tramonto. I personaggi della scena sono illuminati non da lampade, ma in modo irregolare da una luce emanata dal Bambino e da Maria. Può essere una luce mistica, filosofica, magica o tecnologica, dipende dal sentimento di chi lo osserva.
Ho sempre interpretato la luce artificiale come possibile macchina di visione che aprisse squarci di rappresentazione e allo stesso tempo fornisse nuove chiavi di lettura e quindi di riflessione.

E’ un progetto che raccoglie 198 fotografie a partire dall’inizio degli anni 80 ad oggi. E’ un evidente lungo lavoro sull’archivio.

Ho analizzato il mio archivio come fosse un data base, appropriandomi delle immagini da me realizzate come se le avessi trovate su internet.
Ho creato un contatto non cronologico, ma concettuale tra diversi cicli della mia ricerca. Tenendo come asse portante la sequenza delle immagini con la luce artificiale ho sporadicamente inserito opere da serie diverse come ``site specific_, Parks, Images, China``.

Il tuo percorso, nell’esplorare l’immagine della realtà, non è lineare, a volte indugi, insisti, ripercorri, prediligi sguardi decentrati, molto spesso dall’alto, utilizzi lo sfuocato restituendo icone, e non immagini, del mondo proponendo una visione radicale non solamente della realtà ma anche del linguaggio della fotografia.
Indichi un nuovo modello di visione che a mio modo di vedere richiama la ricerca di Moholy Nagy, Dziga Vertov, Man Ray. Vi sono contaminazioni o contatti tra il tuo lavoro e quello degli autori che ho citato?

Man Ray più di altri, la fotografia è un ready made per definizione, anche quando è staged.
Lessi le biografie di Man Ray e di Moholy Nagy con estrema attenzione. Ciò che mi interessava è che furono tra i primi a produrre opere d’arte con mezzi tecnologici al tempo avanzati. Moholy Nagy addirittura ordinandole al telefono.
Sono evidenti l’ossessione delle avanguardie storiche per la transizione dalla messa a fuoco allo sfuocato, l’interscambio dell’immagine in negativo col positivo, la visione di veicoli in movimento o da veicoli in movimento. Fantasmi che hanno costantemente affiancato la mia ricerca.
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